sicurezza e cambiamento

Interviste

ravenna 31 ottobre 2017

Ottolenghi (Confindustria): "Nuova Via della Seta, occasione per ripensare la logistica"

31 ottobre 2017 - ravenna - Intervista a Guido Ottolenghi, presidente del Gruppo Tecnico “Logistica, Trasporti ed Economia del Mare” di Confindustria, relatore al convegno “La nuova Via della Seta” tenutosi a Roma lo scorso 24 ottobre 2017.

Da quanto si è iniziato a parlare di “Via della Seta”?
Il termine “La Via della Seta” – che apparve per la prima volta nel 1877 – condensa in sé secoli di storia e di avvenimenti che hanno segnato il destino di popoli e culture. È iniziata sotto la dinastia Han (114 a.c.) e continuata fino ad almeno il XV° secolo, circa 150 anni dopo Marco Polo. La Via della Seta attraversava l'Asia centrale e il Medio Oriente, collegando la Cina all'Asia Minore e al Mediterraneo, e le sue diramazioni si estendevano a est sino alla Corea e al Giappone e a sud fino all'India. Basta, pertanto, solo il nome per evocare avventura e mistero.

Agli inizi del terzo millennio, la Cina progetta di aprire una nuova via della seta.

Vorrei partire dalle parole con cui il presidente cinese Xi Jinping, il 7 dicembre 2013, in occasione del discorso all’Università Nazarbayev della capitale del Kazhakistan, rappresentò il suo disegno per il futuro dell’Eurasia: “Per costruire dei legami economici più solidi, migliorare la cooperazione ed espandere lo sviluppo della regione euroasiatica, dobbiamo assumere un approccio innovativo e costruire insieme una nuova cintura economica lungo la via della seta ... La cintura economica che proponiamo è abitata da tre miliardi di persone e rappresenta il più grande mercato del mondo ... I popoli di questa antica via della seta, insieme, possono comporre un nuovo, meraviglioso, capitolo in questa storia tante volte raccontata”.

A distanza di quattro anni da questo primo annuncio, il 14 e 15 maggio di quest’anno, il presidente cinese presentava ufficialmente al mondo il progetto BRI-Belt & Road Initiative, volto a integrare l’Asia e l’Europa attraverso la costruzione di sei corridoi di trasporto via terra e via mare, dove circoleranno merci, tecnologie e cultura ribadendone la missione politica prima che economica: “gli scambi rimpiazzeranno l’estraneità, l’apprendimento in comune sostituirà gli scontri, e la coesistenza prenderà il posto del senso di superiorità...”.

Quali sono i motivi che hanno spinto e spingono la Cina a intraprendere un pro- getto colossale come la BRI-Belt & Road Initiative?

Un progetto di così ampio respiro consentirà alla Cina di influenzare le economie di molti Paesi, espandere la propria capacità e credibilità nella progettazione e realizzazione di opere pubbliche, consolidare alleanze che le consentano in futuro di giocare un ruolo simile a quello degli Stati Uniti.
Inoltre vi sono probabilmente motivi di influenza militare perché accanto agli investimenti infrastrutturali in Paesi collegati spesso si aggiungono accordi militari o insediamenti di sicurezza.

Credo poi che vi sia un’altra motivazione, insieme economica e strategica. Il traffico dei container mondiale è ormai governato da pochi carriers. Il 54% della flotta container mondiale è controllata da 5 operatori. Dall’aprile 2017, l’ossatura del traffico mondiale è di fatto nelle mani di tre grande alleanze: Ocean Alliance, The Alliance e 2M.

Esiste dunque una situazione di oligopolio, che influenza inevitabilmente il mercato mondiale dei container, e della quale anche l’Unione Europea dovrebbe forse interessarsi. Questo consolidamento di traffico pone di fatto le esportazioni dalla Cina nelle mani di pochissimi armatori.
Il progetto cinese, in particolare il collegamento ferroviario che connette direttamente il Far East con l’Europa - in un percorso di oltre 8000 km e con tempi di percorrenza inferiori della metà alla nave - unitamente alla politica di investimento nel Porto del Pireo ed in alcuni porti del Northern Range, consente alla Cina di godere di una alternativa al trasporto marittimo, rafforzando così la propria penetrazione commerciale a livello mondiale.
Questo assetto non è privo di criticità: se infatti il traffico via terra impiega la metà del tempo di quello via nave, costa però dalle due alle tre volte di più, e, per gli appassionati del genere, determina emissioni di CO2 doppie a quelle del trasporto marittimo.
Il grande interporto di Khorgos, al confine tra Cina a Kazakhistan, dove le merci cambiano treno a causa del differente passo ferroviario, ha visto transitare nel 2016 2050 treni (che per ora viaggiano pieni prevalentemente verso overst). Insomma il progetto ha uno straordinario potenziale, finanziamenti enormi, una ferrea volontà politica, ma anche diverse sfide da superare.

Da chi è finanziato il progetto?

È un progetto imponente, finanziato in parte dal Governo cinese e in parte dalle banche cinesi che sono stimolate politicamente a offrire credito a condizioni di favore, affiancato da un imponente sforzo di narrazione, con promozione culturale attraverso articoli, video virali, convegni, solenni inaugurazioni e pubblicazioni.
Cito alcuni numeri: il BRI-Belt & Road Initiative vale il 30% del Pil mondiale, per un'estensione geografica del 38,5% del pianeta, una popolazione pari al 62,3% e con una capacità di coinvolgere il 24% dei consumi domestici mondiali. Il valore totale del progetto è di 1400 miliardi di dollari, pari alla ricchezza di Paesi come Russia, Sud Corea o Canada. Un totale di 900 cantieri aperti dal valore di 890 miliardi di dollari, 65 paesi coinvolti e 11 paesi attraversati da 13mila chilometri ferroviari.

Da cosa dipende il successo di questo progetto?

Il successo di questo progetto dipenderà anche dalle scelte logistiche che faremo in Europa, e che dobbiamo saper valorizzare con le nostre controparti orientali. La Cina ha attuato una incisiva politica di investimenti nel Mediterraneo, e credo che continuerà a farlo nei prossimi anni rafforzandovi le proprie basi logistiche. Da qui infatti passa il 20% del traffico marittimo mondiale, il 25% dei servizi di linea container e il 30% del traffico petrolifero.
Il raddoppio del Canale di Suez ha determinato una grande crescita dei traffici, che da 5 mesi aumentano a doppia cifra, ad evidenza di una rinnovata centralità del Mare Nostrum...
L’interscambio cinese è cresciuto dal 2001 ad oggi dell’841%. Appare evidente come le scelte della Cina di investire anche in Mediterraneo non siano frutto del caso, ma nell’alveo di una precisa strategia, direttamente correlata all’iniziativa BRI-Belt & Road Initiative.

Quali ripercussioni avrà sul sistema logistico europeo?

La BRI-Belt & Road Initiative è a mio avviso l’occasione per ripensare il sistema della logistica e dei trasporti a livello nazionale ed europeo. Oggi conviviamo con uno sbilanciamento logistico a favore delle strutture logistiche/portuali del Northern Range, che trova la sua giustificazione nell’innegabile efficienza di questi scali, ma anche nelle scelte strategiche operate (o non operate) dai porti del sud Europa.
Il recente caso della stazione ferroviaria di Rastatt in Germania ha tuttavia evidenziato tutta la fragilità del sistema logistico/trasportistico europeo, apparso un gigante di ferro con i piedi di argilla.
La chiusura di una sola stazione ferroviaria (per l’appunto quella di Rastatt) ha determinato l’interruzione - da metà agosto fino ai primi giorni di ottobre - di uno dei corridoi più strategici della Rete Ten-T, ossia il Corridoio Europeo Geno- va-Rotterdam.
Si è determinata una situazione fortemente critica, e che continua a persistere, che ha prodotto e sta producendo gravi danni al sistema logistico, al trasporto ferroviario e all’attività produttiva Europea. Per dare un’immagine delle conseguenze disastrose di questo evento, è stato calcolato che l’effetto sui trasporti di materia prima chimica in Europa sia stato addirittura maggiore delle tensioni causate dall’uragano Harvey che ha isolato tutti i principali porti chimici del Golfo del Messico.
La questione di Rastatt ha evidenziato a mio avviso la necessità urgente di avviare una comune riflessione sul futuro della rete europea dei trasporti, che non solo contempli l’individuazione di percorsi ferroviari alternativi, per evitare il ripetersi in futuro di situazioni similari a quella di Rastatt, ma intervenga sull’attuale sistema di governo dei Corridoi europei.
Occorre, infatti, affrontare la sfida del progetto cinese, con un sistema logistico europeo coeso, per evitare che le linee strategiche della politica europea dei trasporti possano essere dettate dall’esterno.

Cosa rappresenta per il nostro Paese questo progetto?

Il progetto BRI-Belt & Road Initiative rappresenta un’opportunità e una sfida importante anche per il nostro Paese. L’Europa è il terminale di questa infrastruttura, ma deve interrogarsi su quali obiettivi strategici coltiva la Cina rispetto ad un progetto che per il momento non ha sicuri ritorni economici, e quali obiettivi vuole a sua volta darsi l’Europa e l’Italia. Il nostro Paese infatti, se riuscisse ad avere una linea strategica chiara e ad attrezzarsi in fretta, potrebbe diventare un hub strategico, intelligente e pro-attivo e non succube dei due assi di collegamento.

Quindi questa iniziativa interessa molto il sistema logistico/portuale italiano?


Il collegamento del porto con la ferrovia deve diventare il punto di riferimento fisso e costante, e dovrà garantire al contempo la presenza di una logistica efficiente, di meccanismi intermodali e di lavorazioni logistiche on site o comunque non distanti se possibile. La Riforma della nostra portualità ha fissato le basi per poter andare in questa direzione, cercando di superare un problema atavico del nostro sistema portuale, ossia la sua frammentarietà, mentre la logistica si regge sulla concentrazione dei volumi, che generano formidabili economie di scala. Le nostre infrastrutture logistiche devono secondo me impostare il loro sviluppo guidate dall’idea di recuperare in ogni settore gli svantaggi col grande polo logistico del Nord Europa.

Come dovrebbe essere impostato il dialogo tra Cina e Italia sul progetto?

La logica deve essere bidirezionale. Se da una parte occorre comprendere come possa essere concretizzato il sostegno agli interessi della Cina con le nostre infrastrutture e i nostri servizi, è però fondamentale comprendere come concretizzare anche i nostri interessi, e dunque avere un'idea condivisa di quali essi siano. Credo che in questa direzione le azioni congiunte, in attuazione al progetto BRI-Belt & Road Initiative, debbano avvenire aderendo a una logica che sottenda sempre allo sviluppo del nostro sistema logistico e siano sostenuti da una visione complessiva dei traffici e degli interessi nazionali e non dei singoli operatori. Diversamente, rischieremo di renderci troppo dipendenti dalle scelte della Cina.

Una proposta di obiettivo da condividere?

Per fissare un obiettivo da condividere dobbiamo chiederci perché l’Italia, che è naturalmente posizionata nel centro del Mediterraneo e vicina al Canale di Suez, non riesca per ora a svolgere il ruolo di base logistica per questi traffici. Se lo diventasse, innescherebbe infatti una significativa crescita economica, sviluppando tutti i settori di trasporto, logistica e portualità, trasferendo anche al nostro più ampio tessuto industriale vantaggi di competitività e accesso a materie prime e mercati a costi decrescenti.
Credo, come detto, che una delle ragioni sia riconducibile al fatto che le merci non vengono raccolte in volumi sufficienti per generare un consolidamento di traffici che dia la certezza di partenze giornaliere per le principali destinazioni del Centro Europa, in altre parole dobbiamo lavorare per diventare il Southern Range dell’Europa.

Come si può fare?

È mia convinzione, che vadano create le condizioni per cominciare a concentrare volumi su poche basi di consolidamento da cui attivare partenze ferroviarie regolari per destinazioni almeno nel Centro Europa, con l’obiettivo di attivare a nostra volta un circolo virtuoso di efficienza logistica che attiri verso il nostro Paese i traffici che passano da Suez.
Questo aiuterebbe certamente la nostra nazione a essere maggiormente attrattiva per i traffici mondiali, e ci darebbe un ruolo essenziale per la BRI-Belt & Road Initiative.


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