Porti
ravenna
15 febbraio 2019
Le casse di colmata e la fidejussione da 1 miliardo
Per i civici di Lista per Ravenna serve un'indagine sui vecchi fanghi depositati e mai spostati
![Le casse di colmata e la fidejussione da 1 miliardo](/file/articoli/th/articoli_1376.jpg)
15 febbraio 2019 - ravenna - La recente sentenza di primo grado a carico di tre imputati nell’ambito del processo per i cosiddetti fanghi di dragaggio del Candiano depositati in sette casse di colmata in ambito portuale, ha riportato in luce una vicenda del 2016 resa attuale dal capogruppo di Lista per Ravenna, Alvaro Ancisi.
L’attenzione della lista civica si è posata “sulla prima sentenza del Tribunale di Ravenna, che ha imposto ai condannati di rimuovere i fanghi e di bonificare i siti”. Tra 27 autorizzazioni rilasciate dalla Provincia di Ravenna all’epoca dei fatti (dal 2002 al 2011) e un miliardo di euro di fidejussioni che Ancisi ritiene dovessero essere versate per garantire l’eventuale bonifica delle casse di colmate dove venivano depositati i fanghi di dragaggi” la lista civica chiede all’attuale presidente della Provincia Michele de Pascale di avviare una indagine interna all’ente per accertare eventuale resposasibilità.
“Verso fine 2015, Gianfranco Spadoni, vice presidente di Lista per Ravenna, allora consigliere elettivo della Provincia, chiese - allertato da Alvaro Ancisi - al suo ente copia di tutti gli atti autorizzativi rilasciati per scaricare i fanghi nelle casse. Ne arrivarono 27, per un volume totale di 5 milioni e 57 mila metri cubi. Calcolando indicativamente che il peso dei fanghi per metro cubo abbia un valore medio di 1,85 tonnellate, risulterebbero oltre 9 milioni di tonnellate. La Provincia, in pegno delle prescrizioni contenute nelle varie autorizzazioni, avrebbe dovuto richiedere per legge delle garanzie fideiussorie.
Trattandosi di rifiuti speciali non pericolosi, l’ammontare di tali fideiussioni era pari a 140 euro per tonnellata. Spadoni chiese così alla Provincia l’elenco delle fideiussioni. La risposta sconcertante, venuta dal direttore dell’Agenzia ambientale dell’Emilia-Romagna ARPAE nell’aprile 2016, è stata che “in merito ad autorizzazioni rilasciate per conferimenti di fanghi per deposito temporaneo in casse di colmata portuali, non risultano agli atti garanzie finanziarie depositate a favore della Provincia”.
A quanto è dato di capire, il totale delle fideiussioni “non richieste avrebbe dunque assicurato la copertura degli obblighi posti dalle 27 autorizzazioni a carico dei richiedenti per una somma enorme, molto superiore ad un miliardo di euro, tale (come prescrive testualmente la normativa regionale) da coprire i seguenti costi: “…recupero degli eventuali rifiuti rimasti all’interno dell’impianto; bonifica che si rendesse necessaria dell’area e delle installazioni fisse e mobili, ivi compreso lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalle operazioni suddette, nel periodo di validità della garanzia finanziaria”. Di qui i danni economici subiti dalla Provincia”.
La recente indagine giudiziaria “ha accertato che nelle casse di colmata risulterebbero depositati milioni di metri cubi di fanghi di dragaggio le cui autorizzazioni all’immissione, scadenti tra il 2005 e il 2012, condizionate al trasferimento definitivo dei rifiuti in altro luogo per operazioni di recupero ambientale, sono dunque decadute da 7 a 14 anni”. “Le casse di colmata, montagne alte 6-7 metri, sono dunque diventate discariche di rifiuti non autorizzate. Può sussistere un danno igienico/ambientale, con effetto anche sul paesaggio. La lunga permanenza dei rifiuti può aver prodotto inquinamento “tale da imporre, ai sensi del Codice ambientale, la bonifica dei siti contaminati. È quanto, in definitiva, ha disposto il Tribunale di Ravenna a carico degli imputati condannati, essendo però molto improbabile che ciò avvenga tempestivamente. Sulla stampa si è letto che “il costo per lo svuotamento totale di queste casse sarebbe attorno ai 40 milioni di euro se non di più”, bonifica costosissima esclusa. Sta di fatto che le fideiussioni non richieste, se invece acquisite, avrebbero permesso di gran lunga alla Provincia, una volta doverosamente escusse, di compiere tali operazioni già da anni, anziché attenderne chissà quanti altri”.
La mancata disponibilità delle casse “ha bloccato, a tempo indeterminato, l’adeguamento dei fondali del porto al pescaggio necessario non solo per il suo minimo indispensabile sviluppo, ma addirittura per impedirne l’arretramento funzionale e competitivo che si è avuto. Se ne ha dunque la misura del danno enorme prodotto, oltreché all’ambiente e alla salute ambientale, all’economia del territorio, e dunque alla cittadinanza. Al di là degli aspetti penali sui quali potrebbero essere scattati i termini della prescrizione, resta perciò doverosa, da parte della Provincia, l’effettuazione di un’indagine amministrativa”.
Di qui la diffida a compiere tale indagine rivolta al presidente della Provincia dal capogruppo di Lista per Ravenna Ancisi, “affinché, stabilita la veridicità dei fatti esposti, se ne accertino le cause e le responsabilità, si proceda nei confronti dei responsabili secondo legge, previa loro messa in mora per interrompere i termini di scadenza degli addebiti, e si sollevi presso il Tribunale civile una causa per il recupero dei danni, valutando anche di sottoporre gli esiti dell’indagine all’esame della Procura regionale della Corte di Conti, competente in materia”.
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L’attenzione della lista civica si è posata “sulla prima sentenza del Tribunale di Ravenna, che ha imposto ai condannati di rimuovere i fanghi e di bonificare i siti”. Tra 27 autorizzazioni rilasciate dalla Provincia di Ravenna all’epoca dei fatti (dal 2002 al 2011) e un miliardo di euro di fidejussioni che Ancisi ritiene dovessero essere versate per garantire l’eventuale bonifica delle casse di colmate dove venivano depositati i fanghi di dragaggi” la lista civica chiede all’attuale presidente della Provincia Michele de Pascale di avviare una indagine interna all’ente per accertare eventuale resposasibilità.
“Verso fine 2015, Gianfranco Spadoni, vice presidente di Lista per Ravenna, allora consigliere elettivo della Provincia, chiese - allertato da Alvaro Ancisi - al suo ente copia di tutti gli atti autorizzativi rilasciati per scaricare i fanghi nelle casse. Ne arrivarono 27, per un volume totale di 5 milioni e 57 mila metri cubi. Calcolando indicativamente che il peso dei fanghi per metro cubo abbia un valore medio di 1,85 tonnellate, risulterebbero oltre 9 milioni di tonnellate. La Provincia, in pegno delle prescrizioni contenute nelle varie autorizzazioni, avrebbe dovuto richiedere per legge delle garanzie fideiussorie.
Trattandosi di rifiuti speciali non pericolosi, l’ammontare di tali fideiussioni era pari a 140 euro per tonnellata. Spadoni chiese così alla Provincia l’elenco delle fideiussioni. La risposta sconcertante, venuta dal direttore dell’Agenzia ambientale dell’Emilia-Romagna ARPAE nell’aprile 2016, è stata che “in merito ad autorizzazioni rilasciate per conferimenti di fanghi per deposito temporaneo in casse di colmata portuali, non risultano agli atti garanzie finanziarie depositate a favore della Provincia”.
A quanto è dato di capire, il totale delle fideiussioni “non richieste avrebbe dunque assicurato la copertura degli obblighi posti dalle 27 autorizzazioni a carico dei richiedenti per una somma enorme, molto superiore ad un miliardo di euro, tale (come prescrive testualmente la normativa regionale) da coprire i seguenti costi: “…recupero degli eventuali rifiuti rimasti all’interno dell’impianto; bonifica che si rendesse necessaria dell’area e delle installazioni fisse e mobili, ivi compreso lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalle operazioni suddette, nel periodo di validità della garanzia finanziaria”. Di qui i danni economici subiti dalla Provincia”.
La recente indagine giudiziaria “ha accertato che nelle casse di colmata risulterebbero depositati milioni di metri cubi di fanghi di dragaggio le cui autorizzazioni all’immissione, scadenti tra il 2005 e il 2012, condizionate al trasferimento definitivo dei rifiuti in altro luogo per operazioni di recupero ambientale, sono dunque decadute da 7 a 14 anni”. “Le casse di colmata, montagne alte 6-7 metri, sono dunque diventate discariche di rifiuti non autorizzate. Può sussistere un danno igienico/ambientale, con effetto anche sul paesaggio. La lunga permanenza dei rifiuti può aver prodotto inquinamento “tale da imporre, ai sensi del Codice ambientale, la bonifica dei siti contaminati. È quanto, in definitiva, ha disposto il Tribunale di Ravenna a carico degli imputati condannati, essendo però molto improbabile che ciò avvenga tempestivamente. Sulla stampa si è letto che “il costo per lo svuotamento totale di queste casse sarebbe attorno ai 40 milioni di euro se non di più”, bonifica costosissima esclusa. Sta di fatto che le fideiussioni non richieste, se invece acquisite, avrebbero permesso di gran lunga alla Provincia, una volta doverosamente escusse, di compiere tali operazioni già da anni, anziché attenderne chissà quanti altri”.
La mancata disponibilità delle casse “ha bloccato, a tempo indeterminato, l’adeguamento dei fondali del porto al pescaggio necessario non solo per il suo minimo indispensabile sviluppo, ma addirittura per impedirne l’arretramento funzionale e competitivo che si è avuto. Se ne ha dunque la misura del danno enorme prodotto, oltreché all’ambiente e alla salute ambientale, all’economia del territorio, e dunque alla cittadinanza. Al di là degli aspetti penali sui quali potrebbero essere scattati i termini della prescrizione, resta perciò doverosa, da parte della Provincia, l’effettuazione di un’indagine amministrativa”.
Di qui la diffida a compiere tale indagine rivolta al presidente della Provincia dal capogruppo di Lista per Ravenna Ancisi, “affinché, stabilita la veridicità dei fatti esposti, se ne accertino le cause e le responsabilità, si proceda nei confronti dei responsabili secondo legge, previa loro messa in mora per interrompere i termini di scadenza degli addebiti, e si sollevi presso il Tribunale civile una causa per il recupero dei danni, valutando anche di sottoporre gli esiti dell’indagine all’esame della Procura regionale della Corte di Conti, competente in materia”.
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