sicurezza e cambiamento

Porti

ravenna 27 giugno 2014

Confindustria: "Torniamo allo spirito del 1962"

La relazione del presidente, Guido Ottolenghi, all'annuale assemblea

27 giugno 2014 - ravenna - Il porto di Ravenna è stato preso più volte ad esempio dal presidente di Confindustria Ravenna, Guido Ottolenghi, nella sua relazione all’annuale assemblea degli imprenditori, dedicata a Impresa e Ambiente.

“Per parlare di ambiente - ha esordito Ottolenghi - desidero cominciare dal porto di Ravenna. Come tutti sanno il nostro porto ha urgente bisogno di lavori di dragaggio e approfondimento che sono paralizzati da norme contraddittorie e illogiche, dalla passione per il cavillo, dal dialogo non sempre fluido tra le istituzioni, dalla bulimia giuridica del nostro Paese”. 
Ottolenghi fa un riferimento calzante al porto “che inaugurammo nel 1963, alle emozioni e alle speranze che suscitava allora. 
Uno speciale porto del Resto del Carlino del dicembre 1962, mostrando le foto del nuovo impianto petrolchimico ANIC, condivideva la gioia della comunità ravennate poiché “là dov’era la palude sorge oggi una vasta distesa di impianti industriali” ed esaltava la ricerca del metano “elemento propulsore della espansione industriale ravennate, anche in alto mare”.
I moli guardiani di tre kilometri erano quasi completi, e i dragaggi procedevano spediti. 
Dagli articoli di quel tempo traspira l’anticipazione per ciò che questo immenso investimento infrastrutturale avrebbe portato alla nostra città, le opportunità di lavoro e di crescita, l’occasione di agganciarci all’industrializzazione del nord Italia in un’area ancora percepita come essenzialmente agricola. 
La politica colse questo spirito e seppe esprimere una visione lungimirante che permise a Ravenna di diventare un polo industriale e il più importante porto italiano per i cereali, mantenendo così il legame anche con la sua storia agricola. 
Evocare l’atmosfera di quegli anni è importante perché ci ricorda un modo decisamente più positivo di vedere l’industria, forse il modo con cui la vedono oggi le popolazioni dei paesi dell’estremo Oriente: essa era l’ingrediente che trasformava le vite, che portava speranza e benessere, che dava nuovi prodotti impensabili appena pochi anni prima”. 
“L’industria – riconosce Ottolenghi - esprime in genere un punto di vista più equilibrato ed empirico, pronto a riconoscere i costi dello sviluppo, ma ansioso di far sì che anche i costi del mancato sviluppo siano resi conoscibili e non occultati come accade spesso oggi nei dibattiti. 
Questo è un tema molto importante, e il migliore esempio vicino a noi è proprio il dragaggio del nostro porto, i cui vantaggi sono enormemente maggiori di ogni possibile svantaggio, peraltro indennizzabile. 
L’industria vuole che sia riconosciuto lo sforzo fatto in questi anni nel migliorare la propria sensibilità ambientale, e la capacità di ascoltare e indennizzare le comunità laddove appropriato.
L’industria avrebbe anche bisogno di regole certe e stabili, perché un investimento, quando è avviato, deve potersi completare e deve poter permanere nel tempo, anche crescendo”.



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